sabato 21 giugno 2025

Il Mistero dell’Opera Alchemica: Cristina di Svezia, Santinelli e l’Esoterismo di Corte

Alchimia, simboli e percorsi iniziatici nella cerchia intellettuale della regina

Francesco Maria Sanribelli
Francesco Maria Santinelli nacque a Pesaro il 20 aprile 1627, primogenito di Alessandro Santinelli, marchese di Pino, conte della Metola e marchese di San Sebastiano, e di Margherita Santacroce. Educato nelle arti della scherma, della danza e della cavalleria, Santinelli acquisì fama di abile spadaccino. Parallelamente, si dedicò a studi letterari, filosofici, teologici e scientifici. 
Nel 1645, fondò l’Accademia dei Disinvolti a Pesaro, che successivamente rifondò a Venezia nel 1648. Fu anche membro dell’Accadenia degli Scomposti di Fano 

Il suo esordio letterario avvenne nel 1647 con il romanzo Le donne guerriere. Nel 1649, pubblicò le Poesie de’ Signori Accademici Disinvolti di Pesaro, che includevano le sue prime prove liriche

Nel dicembre 1655, Cristina di Svezia, dopo aver abdicato al trono e intrapreso un viaggio verso Roma per convertirsi al cattolicesimo, fece tappa nelle Marche, sostando a Fano e Pesaro.  
Cristina fu profondamente affascinata dalle scienze occulte, esoteriche. tanto da frequentare e proteggere numerosi alchimisti e filosofi. 
Secondo il Dizionario Biografico degli Italiani della Treccani, l’incontro tra Cristina e Francesco Maria Santinelli avvenne a Pesaro, dove il poeta organizzò spettacoli in suo onore. In particolare, compose la commedia Preparamenti festivi di Parnaso, rappresentata il 3 dicembre 1655 proprio nel Palazzo Santinelli. Fu così che Santinelli entrò nel suo seguito e divenne uno dei suoi collaboratori più fidati. Fu lui, ad esempio, a curare alcune delle sue relazioni letterarie e scientifiche, e pare che abbia anche avuto un ruolo importante nella redazione di testi poetici ed esoterici attribuiti all’entourage della della Regina.


A Fano, fu accolta con grande onore dalla comunità locale, e per l’occasione venne aperto un passaggio nel Palazzo Malatestiano, noto come “Arco della Regina”, per consentirle l’ingresso in città.

Arco della Regina costruito a fronte del palazzo Malatestiano 
 
Durante il soggiorno di Cristina a Fano, fu organizzata una celebrazione in suo onore presso il Palazzo Castracane, nella cosiddetta Sala del Sole, un ambiente riccamente decorato che testimonia l’importanza dell’evento. Il Salone del Sole, con il suo soffitto a cassettoni e la lampada dorata a forma di sole raggiante, fu fatto costruire appositamente per colpire l’immaginazione della regina
 
Fano, Palazzo Castracane: il Salone del Sole realizzato per i festeggiamenti dedicati a Cristina di Svezia  

Dopo l’incontro a Fano e Pesaro, Santinelli seguì Cristina a Roma, dove divenne suo cameriere maggiore nel 1656. Durante il soggiorno romano, Santinelli visse il vivace ambiente culturale e esoterico che ruotava attorno alla regina, frequentando il circolo degli alchimisti di Villa Palombara, noto per la sua Porta Alchemica, e contribuendo con le sue opere poetiche e alchemiche. 


Porta Alchemica 

Tra le figure di spicco di questo circolo vi erano il gesuita Athanasius Kircher, l’astronomo Giovanni Domenico Cassini e l’alchimista milanese Giuseppe Francesco Borri.

Francesco Borri


Sotto il segno del sole: Santinelli e Cristina tra l’Eros dell’Intelletto e il Fuoco del Cielo”

Nel suo componimento Atelie prodigio alle glorie della sacra real maestà di Cristina regina di Svetia, Francesco Maria Santinelli non si limita a offrire un encomio regale secondo i canoni del barocco. 

Il poeta eleva Cristina a figura archetipica, a manifestazione vivente del femminino sacro, che si rivela nella forma umana di una regina colta, indipendente, luminosa, piena di un profondo, intenso Eros, di quella magica energia, che riempie di forza, bellezza e sapienza sicché l’essere umano risplende, come un sole, di luce superna. Così infatti la descrive il poeta: “Meraviglia del Mondo, Idea del Cielo
Con queste parole, Santinelli non descrive una donna terrena, ma evoca un’entità celeste, una presenza teofanica
Cristina appare qui come Sophia, la sapienza divina dei testi gnostici e neoplatonici, principio femminile dell’intelletto cosmico, luce segreta che guida l’anima verso il vero.

Per Santinelli l’amata Cristina è: Miracol di Naturache nel contesto cabalistico, potremmo leggerla anche come Shekinah, la “Presenza” divina che si manifesta nel mondo, e che ha in sé la nostalgia dell’unione perduta con il principio maschile. 
In questa chiave, Santinelli non è solo un poeta devoto, ma un sacerdote della parola, che riconosce in Cristina il volto incarnato del divino femminile.
“Holocausto d’ingegno offre il mio canto”

Il suo canto è offerta rituale, sacrificio poetico, adorazione spirituale:  un amore carnale, che trasmuta in una  sacra, alchemica, unione degli opposti tra principio maschile e principio femminile, tra Zolfo e Mercurio, tra Re e Reginaquella che gli alchimisti chiamavano coniunctio, o ierogamia

“Oh se potessi, Amore,
Far che nel foco sacro anco io fossi
Un spirto eletto”

Come nelle cerimonie teurgiche che si svolgevano negli antichi templi della Dea, qui, il desiderio di Santinelli non è quello dell’amante, ma dell’iniziato: egli chiede di essere ammesso nel fuoco sacro della trasmutazione, di partecipare alla luce che la regina irradia non come potere, ma come sapienza risvegliata.

La corte di Cristina, intrisa di filosofia, poesia e alchimia, appare così come un luogo simbolico, un Tempio delle nozze sacre. E lei, regina senza trono, ma sovrana dell’anima, unisce in sé il visibile e l’invisibile, diventando porta tra mondi, ponte tra cielo e terra, figura ieratica del Femminino Supremo.

Santinelli, nell’economia simbolica della sua ode, non cerca l’amore terreno, ma l’alleanza spirituale, la riconciliazione degli opposti, in quella che è forse la vera funzione del poeta nel mondo: cantare l’invisibile attraverso il visibile, riconoscere il divino nel volto della donna-sapienza.




Il Soggiorno Veneziano, i Rosa+Croce e l’Indagine dell’Inquisizione del 1676

Dopo il suo allontanamento dalla corte di Cristina di Svezia nel 1659, Francesco Maria Santinelli si trasferì a Venezia nel 1668, dove visse fino al 1677. Durante questo periodo, entrò in contatto con l’alchimista tedesco Federico Gualdi, figura enigmatica e influente negli ambienti esoterici veneziani. Gualdi era noto per la sua appartenenza all’Ordine dell’Aurea Crucis i 22 capi dei Rosa Croce, una confraternita esoterica che si ispirava ai manifesti rosacrociani apparsi in Germania. Santinelli divenne uno dei discepoli più noti di Gualdi e partecipò attivamente alle attività dell’Ordine. 

Simbolo della Rosa+Croce

Nel 1666, pubblicò sotto lo pseudonimo di Fra Marcantonio Crassellame Chinese l’opera Lux obnubilata suapte natura refulgens, un’ode alchemica che rappresenta un compendio dell’alchimia del Seicento e che si ispira alla Philosophia Hermetica del suo maestro Gualdi.

Nel 1676, il Sant’Uffizio di Venezia avviò un’indagine su Federico Gualdi, figura enigmatica e influente negli ambienti esoterici veneziani, noto per la sua appartenenza all’Ordine dell’Aura Crucis e Rosa Croce

Gualdi era considerato il leader di una setta esoterica che si dedicava a pratiche alchemiche, cabalistiche e magiche. Tra i suoi discepoli più noti vi era Francesco Maria Santinelli, gentiluomo della regina Cristina di Svezia, poeta e alchimista.


L’indagine fu avviata a seguito di una denuncia presentata al tribunale del Sant’Uffizio veneziano il 21 aprile 1676, in cui si accusava Gualdi di essere un “negromante” e di guidare una setta che obbligava i suoi membri a patti con il diavolo per ottenere spiriti familiari e conoscenze occulte
La confraternita era composta da medici, scienziati, letterati, nobili legati alla corte romana della regina Cristina di Svezia, diplomatici e personaggi di spicco come il marchese Francesco Maria Santinelli.
Nonostante la gravità delle accuse, l’indagine non sfociò mai in un processo formale. 
Gualdi non fu mai convocato dall’Inquisizione, probabilmente grazie alle sue relazioni altolocate nei circoli del potere della Serenissima. 
La sua influenza e il sostegno di importanti figure dell’aristocrazia veneziana potrebbero aver contribuito a evitare conseguenze legali. 
Questa vicenda evidenzia il clima di tensione e sospetto nei confronti delle pratiche esoteriche, nonché il ruolo centrale di Gualdi e Santinelli nella diffusione delle idee rosacrociane in Italia.

Francesco Maria Santinelli e Domenico Federici: un dialogo ermetico tra accademie, corte imperiale e Rosa Croce.
All’interno del complesso universo culturale e intellettuale che ruotò attorno a Cristina di Svezia dopo il suo arrivo in Italia, un ruolo peculiare fu giocato da figure dotate di formazione filosofica ed esoterica, che contribuirono alla costruzione del suo “cenacolo” romano e internazionale. 

 Tra questi, il marchese Francesco Maria Santinelli (1627–1697) e l’abate Domenico Federici (circa 1626–1690) risultano essere due intellettuali marchigiani accomunati da una militanza intellettuale e spirituale condivisa, tanto in ambito accademico quanto nei circuiti ermetico-alchemici legati alla tradizione della Rosa Croce veneziana.

Emblema dell’Accademia degli Scomposti 

Origini comuni: l’Accademia degli Scomposti
Sia Santinelli che Federici furono membri dell’Accademia degli Scomposti di Fano, fondata nel 1641 dal giurista Gregorio Amiani.
Tale accademia, tra le più singolari del panorama culturale marchigiano, si distingueva per il suo animo esoterico, fatto di ricerca, dove scienza e mistero si univano in studi segreti alla scoperta dell’ inconoscibile.
Un mondo accademico ben espresso nel suo stemma che rappresenta un cannocchiale scomposto in sette tubi, sovrastato da un drago alato deduto a tematiche filosofiche, naturali e magiche. Il mottoCompositi ad seposita” richiamava un metodo di ricerca e di separazione nella quale solo la conseguente giustapposizione di ogni elementi consente alla scoperta di cose lontane , che vanno oltre il conoscibile. 
Un emblema, quello degli scomposti, che ben si presta i all’immaginario iniziatico - alchemico e spirituale del tempo, Forse non e un caso che il 
Nell’ambito degli Scomposti, Santinelli e Federici ebbero modo di conoscersi e confrontarsi su questioni di ordine poetico, filosofico e spirituale, coltivando idee comuni che avrebbero lasciato traccia nelle loro rispettive opere: dai “Sonetti alchemici” del primo alla trattatistica simbolica e religiosa del secondo. In questo contesto interessant risulta essere l’epistolario segreto tra Domenico Federici e il Conte 

L’incontro a Vienna e la convergenza alla corte asburgica

Nel 1659, entrambi si ritrovarono a Vienna, alla corte dell’imperatore Leopoldo I d’Asburgo. Santinelli, appena caduto in disgrazia a Roma per via del suo presunto coinvolgimento nell’omicidio Monaldeschi (evento che causò la sua rimozione dal servizio di Cristina), fu accolto presso la corte imperiale con il titolo di consigliere aulico, nonché con il conferimento della Chiave d’Oro. 
Anche Federici giunse alla corte imperiale nello stesso periodo, con il ruolo di segretario dell’imperatrice madre Eleonora Gonzaga-Nevers, zia dell'imperatore. 

La contemporaneità della loro presenza suggerisce una relazione organica e non episodica, ancor più verosimile se si considerano le comuni radici marchigiane, la vicinanza anagrafica e l’appartenenza a contesti culturali condivisi.

In quel milieu viennese in cui la spiritualità barocca si intrecciava con il sapere scientifico e mistico, Santinelli e Federici poterono proseguire i loro studi esoterici con maggiore libertà. A tale fase si devono, tra l’altro, le dediche poetiche di Santinelli all’imperatore Leopoldo e alla consorte Eleonora, nonché l’elaborazione delle rispettive opere alchemiche e simboliche.

Venezia: tra esoterismo e Rosa Croce

Dopo l’esperienza a Vienna, entrambi gli autori risultano attivi a Venezia, città che nel secondo Seicento fu centro di una vivace comunità esoterica. Santinelli si stabilì in laguna intorno al 1665, partecipando a circoli legati alla tradizione della Rosa Croce d’Oro, gruppo spirituale di ispirazione alchemica e neoplatonica. In questo ambiente si muoveva anche Federico Gualdi, figura ambigua e centrale del rosacrocianesimo italiano, che fu oggetto di indagini inquisitoriali nel 1676.

Federici, sebbene più cauto e con posizioni apparentemente ortodosse, pubblicò nel 1683 a Fano (sotto lo pseudonimo di Theophilus Novalckindus) il Phosphorus Hermeticus, testo alchemico e sapienziale chiaramente ispirato — anche nella struttura — alla Lux obnubilata di Santinelli, pubblicata a Venezia nel 1666 sotto forma di poema allegorico in endecasillabi. La somiglianza tematica tra i due testi suggerisce una relazione intellettuale diretta: è plausibile che i due autori si siano scambiati manoscritti, osservazioni e visioni filosofiche anche in questo ambito.

Un legame culturale e spirituale

A legare Santinelli e Federici non fu solo un’esperienza intellettuale condivisa, ma anche una comune vocazione spirituale che li portò a indagare — ognuno con il proprio stile — i misteri della natura, le analogie cosmiche e il linguaggio simbolico delle sacre scritture. La dimensione accademica (Scomposti), quella diplomatica (a Vienna) e infine quella esoterica (a Venezia) costituirono le tre tappe fondamentali del loro dialogo.

La loro opera mostra, infine, un approccio parallelo al concetto di “trasmutazione” — tanto in senso alchemico quanto morale  che appare centrale nei percorsi culturali cristiniani, e ben si inserisce nel clima spirituale promosso da Cristina di Svezia nei suoi cenacoli romani, nei quali la ricerca di verità spirituale, l’ermetismo e la libertà interiore trovavano piena cittadinanza.

Santinelli e il complotto di Fontainebleau

Nel 1657, a Fontainebleau, si verificò l’omicidio del conte Gian Rinaldo Monaldeschi, che macchiò la reputazione di Cristina e coinvolse alcuni membri del suo seguito, tra cui Santinelli, sospettato di essere l’esecutore materiale del delitto. 
Il nome Santinelli emerse subito come centrale, ma con ruoli leggermente diversi a seconda delle fonti. Ludovico Santinelli, in qualità di capitano delle guardie, fu quasi certamente uno degli esecutori materiali che materialmente trafissero Monelleschi. 

Alcune cronache enfatizzano proprio la sua partecipazione all’omicidio: “Monaldeschi fu pugnalato da due domestici di Cristina – in particolare da Ludovico Santinelli – con colpi allo stomaco e al collo” .

Francesco Maria Santinelli, invece, potrebbe non essere stato presente fisicamente all’assassinio; secondo una versione, egli si trovava a Roma per commissioni al momento dei fatti . Questa assenza, se vera, fu forse calcolata per creargli un alibi e attenuare i sospetti diretti sulla persona del marchese. Tuttavia, la maggior parte dei contemporanei e degli osservatori identificò proprio Francesco Maria come il principale ispiratore e responsabile dell’esecuzione, se non addirittura come l’assassino in prima persona. Su di lui infatti “gravò il sospetto che fosse stato l’esecutore materiale del delitto” , cioè la mano che colpì Monaldeschi su ordine di Cristina. Questa convinzione era alimentata dal fatto notorio che Monaldeschi avesse cercato di incastrare proprio Santinelli (forse reputato un suo rivale in influenza presso la regina) tramite le lettere false. In pratica, Santinelli risultava il beneficiario diretto della caduta di Monaldeschi; ciò rendeva plausibile, agli occhi di molti, che egli avesse con entusiasmo eseguito la vendetta di Cristina per liberarsi del rivale.

Le fonti coeve attestano unanimemente che Santinelli fu coinvolto nell’omicidio, almeno come complice consapevole. L’ambasciatore francese Pierre Chanut, informato dell’accaduto, riferì che Cristina stessa gli promise di allontanare Ludovico Santinelli e gli altri due sicari dal suo servizio, quasi a offrirli come capri espiatori . Dal canto suo il cardinale Mazzarino, imbarazzato dallo scandalo, suggerì a Cristina di dare la colpa dell’uccisione a Santinelli e di cacciarlo, per salvare la reputazione della sovrana . Cristina però rifiutò di scaricare tutta la responsabilità sui suoi sottoposti: orgogliosamente dichiarò di essere l’unica responsabile della morte di Monaldeschi, rivendicando la legittimità del suo atto di giustizia sovrana . Ciò non tolse che, nei fatti, Santinelli dovette lasciare immediatamente la Francia insieme alla regina.

A Roma e in Italia il nome di Santinelli divenne sinonimo dell’omicida di Monaldeschi, al punto che alcuni pamphlet lo dipingevano come un sicario spietato al servizio di una regina sanguinaria. Un racconto del tempo riporta il giudizio indignato dei romani: Monaldeschi era stato “assassinato da una barbara straniera con Santinelli come suo braccio armato” . D’altra parte, i documenti pontifici indicano chiaramente che anche il Papa identificò in Santinelli una presenza perniciosa e lo ritenne corresponsabile della vicenda. In definitiva, benché permangano dubbi sul grado esatto della partecipazione fisica di Francesco Maria Santinelli all’omicidio (esecutore diretto o regista dell’agguato compiuto dal fratello Ludovico), il suo coinvolgimento come complice è storicamente certo. La caduta in disgrazia di Santinelli subito dopo Fontainebleau conferma il peso che gli si attribuì nell’affare. È emblematico che Cristina, tornata a Roma, abbia dovuto sacrificare il suo favorito per placare l’indignazione generale: la presenza di Santinelli al suo fianco era divenuta politicamente insostenibile.

Dopo l’omicidio di Monaldeschi, la carriera di Francesco Maria Santinelli subì uno sconvolgimento radicale. Se a Fontainebleau Cristina aveva protetto i suoi servi davanti a Luigi XIV, a Roma dovette cedere alle pressioni pontificie. Papa Alessandro VII, profondamente turbato dalla condotta dell’ex regina e del suo entourage, fu immediato nel prendere provvedimenti: ingiunse a Cristina di licenziare Santinelli e di allontanarlo da Roma al più presto . In una lettera ufficiale datata 3 maggio 1659, Cristina comunicò a Santinelli il suo congedo dal servizio, ratificando così la volontà papale . Il marchese, da astro nascente della corte cristiniana, si ritrovò dunque esiliato e privo di protezione nella città eterna.

Costretto a cercare fortuna altrove, Santinelli decise di riparare nell’orbita dell’Impero asburgico, dove sperava di mettere a frutto le proprie doti letterarie e diplomatiche. Nel 1659 si stabilì a Vienna, presentandosi alla corte dell’imperatore Leopoldo I d’Asburgo . Qui cercò nuovi mecenati potenti e per accreditarsi pubblicò ad Augusta una nuova edizione delle sue Canzoni dedicandola proprio a Leopoldo e all’imperatrice Eleonora . 

Leopoldo I d’Asburgo

La strategia ebbe successo: l’imperatore apprezzò l’omaggio poetico e ricompensò Santinelli con onorificenze prestigiose, nominandolo fra l’altro consigliere aulico imperiale e conferendogli l’insegna della Chiave d’Oro . In pochi anni Santinelli riuscì così a reinventarsi come uomo di lettere e cortigiano presso la corte viennese, mettendo una considerevole distanza geografica e politica dallo scandalo di Fontainebleau.

Nel frattempo, la vita personale di Santinelli prendeva anch’essa svolte avventurose. Già nel 1658, durante il periodo burrascoso del suo allontanamento da Roma, egli aveva intrecciato una relazione amorosa segreta con una nobildonna romana, Anna Maria Aldobrandini, vedova duchessa di Ceri . La duchessa era una lontana parente di papa Alessandro VII, il quale vedeva con estremo sfavore l’unione fra la sua parente e il discusso Santinelli. Nonostante ciò, Francesco Maria riuscì a sposarla per procura in segreto nel giugno 1658. Quando la notizia trapelò, Alessandro VII reagì con durezza: fece mettere la duchessa sotto stretta sorveglianza e le proibì ogni contatto con Santinelli . Di fatto Anna Maria fu confinata, e il marito allontanato da Roma non poté più vederla. Di fronte a questa separazione forzata, Santinelli elaborò un piano audace: rapì la duchessa dalla sua prigione familiare e fuggì con lei dapprima a Venezia e poi nuovamente a Vienna . Alla corte imperiale i due trovarono protezione, al riparo dall’ira dei parenti Aldobrandini e dalle ingiunzioni del papa. Finalmente, dopo anni di peripezie, Francesco Maria Santinelli poté sposare pubblicamente Anna Maria a Vienna nel febbraio 1667. Dalla loro unione nacquero due figlie e l’amore trionfò sulle avversità e sui divieti pontifici.

Stabilitosi definitivamente sotto l’ala dell’Impero, Santinelli continuò la sua produzione letteraria e filosofica. Si dedicò a opere teatrali e trattati ermetici, rifondendo le esperienze avventurose della sua vita in componimenti poetici. Ad esempio, negli anni ‘60 del Seicento scrisse un poema epico-alchemico dal titolo Lux obnubilata sotto lo pseudonimo di Fra’Marc’Antonio Crasselame (opera che godette di una certa fortuna negli ambienti eruditi europei) . Nel 1669 diede alle stampe a Venezia drammi musicali di successo come L’Armida nemica, amante e sposa .  Insediatosi dapprima a Vienna e successivamente di nuovo in Italia verso la fine del secolo, riottenne col tempo l’accettazione nell’ambiente romano. Anni dopo la morte di Alessandro VII, Santinelli poté infatti rientrare a Roma, dove trascorse l’ultima parte della sua vita. Morì nella città eterna il 22 novembre 1697, all’età di 70 anni , chiudendo un’esistenza straordinariamente movimentata. Da cortigiano, poeta e (presunto) sicario, Santinelli era riuscito a sopravvivere alla propria infamia iniziale e a ritagliarsi un posto nelle corti d’Europa, lasciando di sé un ricordo controverso ma singolare.


Opere Principali di Francesco Maria Santinelli

Tra le opere principali di Santinelli si annoverano:

  • Canzoni del conte Francesco Maria Santinelli (1655)
  • Preparamenti festivi di Parnaso (1656)
  • Lux obnubilata suapte natura refulgens (1666)
  • Delle poesie del marchese Francesco Maria Santinelli (1669)
  • L’Armida, nemica, amante, e sposa: Dramma musicale (1669)
  • L’Alessandro overo il trionfo di se stesso: Opera regia (1673)
  • Sonetti alchemici e altri scritti inediti

 Le Accademie Frequentate da Santinelli

Francesco Maria Santinelli fu membro di numerose accademie letterarie e culturali del suo tempo, tra cui:

Accademia dei Disinvolti (Pesaro, 1645; Venezia, 1648) Fondata da Santinelli insieme al fratello Ludovico, l’Accademia dei Disinvolti nacque a Pesaro nel 1645 e fu successivamente rifondata a Venezia nel 1648. Questa accademia si distinse per l’adozione di uno stile letterario barocco e per l’interesse verso tematiche filosofiche e scientifiche. Nel 1649 pubblicò le Poesie de’ Signori Accademici Disinvolti di Pesaro, con dedica al cardinale Cybo, che includevano le prime prove liriche di Santinelli.


Bibliografia 

-  Annarosa Mattei e Claudio Strinati, La regina che amava la libertà: Storia di Cristina di Svezia dal Nord Europa alla Roma Barocca, Salani ed. 2023

- Barbierato, Federico & Malena, Adelisa. Rosacroce, libertini e inquisizione a Venezia: il caso Gualdi. Annali di storia moderna e contemporanea, Università Ca’ Foscari di Venezia, 2009.

- Boella, Alessandro & Galli, Antonella (a cura di). Philosophia Hermetico di Federico. Edizioni Mediterranee, 2008.

- Canneto, Salvatore. SANTINELLI, Francesco Maria. Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 90: Salvestrini–Saviozzo da Siena. Roma: Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2017.

- Garstein, Oskar. Rome and the Counter-Reformation in Scandinavia: 

The Age of Gustavus Adolphus and Queen Christina of Sweden. BRILL, 1992.

- Partini, Anna Maria.Cristina di Svezia e il suo cenacolo alchemico. Roma: Edizioni Mediterranee, 2010.

- Radi, Valentina. L'Accademia degli Scomposti e il libero pensiero delle Marche. Ussero Rivista, 2018.

- Rocchi, Marco. Semplice è la natura. Nuovi studi sulle opere e la vita di Francesco Maria Santinelli. A cura di - Davide Riboli e Marco Rocchi. Netzach, 2019.

- Francesco Maria Santinelli. 

Wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Maria_Santinelli

- Accademia degli Scomposti. Histouring

https://www.histouring.com/en/historical-places/accademia-degli-scomposti

- Francesco Maria Santinelli. Rito Egizio Tradizionale

https://www.ritoegiziotradizionale.it/bibliografia/marchese-francesco-maria-santinelli

- Federico Gualdi. Wikipedia  https://it.wikipedia.org/wiki/Federico_Gualdi

- Cristina di Svezia. Wikipedia  https://it.wikipedia.org/wiki/Cristina_di_Svezia

- Cristina di Svezia a Roma. Roma Sito Unesco https://romasitounesco.it/cristina-di-svezia-a-roma.

- Accademia Reale. Wikipedia  https://it.wikipedia.org/wiki/Accademia_Reale

- Porta Alchemica. Wikipedia  https://it.wikipedia.org/wiki/Porta_Alchemica


martedì 17 giugno 2025

L’asino con la lira: simbolismo e saggezza celata nel portale romanico di Saint-Pierre d’Aulnay

 di Massimo Agostini

Si vede su un documento dell’antico Egitto, un asino che pizzica una lira a nove corde.

Esistono ben due asini che sono due stelle della costellazione del Cancro e l’Asino sarebbe stato per gli Egiziani il simbolo di Tifone, l’Avversario di Osiride. 

La figura dell’asino può anche significare che per chi è troppo materialista, preso nella crassa ignoranza, che non vede oltre le forme, la porta della conoscenza è chiusa. 

Solo chi è in grado di aprire gli occhi, sapendo guardare, potrà trovare e comprendere la verità.

Nell’immagine “Asino con la lira - portale della chiesa di Saint Pierre de la Tour, Aulnay


Nel cuore della Saintonge, tra le pietre  della chiesa romanica di Saint-Pierre de la Tour ad Aulnay (Francia), si cela un bassorilievo tanto curioso quanto enigmatico: un asino che pizzica una lira.

Questa immagine, apparentemente comica, è invece carica di significati simbolici profondi, che affondano le radici in antiche cosmologie, tradizioni egizie, riferimenti astrologici e allegorie medievali. Più che una semplice decorazione, l’asino con la lira è una chiave esoterica che ci interroga su conoscenza, ignoranza e verità.


Un animale “semplice”, ma mai banale

L’asino, nella tradizione antica e medievale, è un animale ambivalente: simbolo di umiltà e fatica, ma anche di ostinazione e ignoranza. In molte raffigurazioni medievali è lo zimbello della sapienza mal compresa, un animale che imita gesti umani senza coglierne il significato più profondo.

Nel contesto cristiano, l’asino rappresenta spesso chi resta cieco alle verità divine, chi si arresta alla superficie delle cose, incapace di “suonare” le corde dell’anima e della conoscenza autentica. È l’uomo che non vede oltre la materia, che si ferma alle forme senza intuirne lo spirito.


Echi egizi e astrali

Ma l’asino non è solo simbolo di stoltezza. Nell’iconografia egizia, esso è legato a Tifone (Seth), la forza distruttrice e antagonista di Osiride. Come tale, è emblema del caos e della confusione spirituale. Gli antichi Egizi lo associavano anche a due stelle nella costellazione del Cancro, chiamate gli “Aselli”, che tirano il carro del Sole in certe leggende greche.

Tifone

Questo collegamento celeste ci ricorda che le immagini scolpite nei portali delle chiese romaniche non sono mai solo terrene, ma riflettono un sapere che unisce astronomia, teologia e simbolismo. Il portale è, in senso reale e metaforico, una soglia tra mondi: quello materiale e quello spirituale.


La musica come metafora dell’armonia interiore

La lira, strumento musicale per eccellenza nell’antichità, è simbolo di armonia cosmica e spirituale. Affidata alle mani di un asino, questa armonia diventa parodia: l’ignorante può tentare di imitare i gesti del sapiente, ma senza comprensione produce solo rumore.

Questa scena è dunque una satira visiva medievale, un ammonimento a non confondere la forma con l’essenza, l’imitazione con la verità. È una lezione sempre attuale: chi si limita ad “eseguire”, senza comprendere, resta fuori dalla porta della conoscenza.


Una soglia da attraversare con occhi nuovi

Il portale della chiesa romanica, ornato da creature fantastiche e simboliche, non è soltanto un ingresso architettonico: è la soglia del mistero. Il messaggio dell’asino con la lira è chiaro: per entrare davvero nel tempio – e quindi nella conoscenza – bisogna aprire gli occhi interiori. Solo chi sa guardare oltre le apparenze, superando la crassa ignoranza, può avvicinarsi alla verità.


L’asino con la lira scolpito a Saint-Pierre d’Aulnay ci parla ancora oggi, in un’epoca dove l’apparenza spesso domina sulla sostanza. Questa figura, a metà tra ironia e rivelazione, ci ricorda che la vera sapienza non è imitazione, ma comprensione profonda, capace di armonizzare le corde interiori con l’universo.

In un mondo che spesso premia il rumore, questo antico rilievo ci invita al silenzio contemplativo, alla ricerca, alla visione. Perché la lira dell’asino, se affidata a mani consapevoli, può ancora suonare la musica della verità.