massimo agostini

sabato 15 luglio 2017

"Et in Arcadia ego" - "Arcam Dei Tango Iesu"

di Agostino Agostini Venerosi della Seta

Vorrei aggiungere in questo blog qualche nota al bel saggio di Massimo Agostini "Et in Arcadia Ego, i miti dei Popolidel Mare" e suggerire una ipotesi sul carme di Ausonio del IV sec dC "(...) farò fra questi rustici la sepoltura tua famosa e celebre. Et da' monti Thoscani et da' Ligustici verran Pastori (...) Et in Arcadia Ego" oppure una suggestione di Et in Arcadia ego", anagramma di "Arcam Dei Tango Iesu", che significherebbe "Io tocco la tomba di Gesù" ovvero il sarcofago di Les Pontils, vicino Rennes-le-Château, ritratto nel quadro di Giovanni Barbieri, detto il Guercino.
 Le suggestioni sono tratte da due saggi, il primo di Massimo Adami "Pisa città dell'Ariete" ed il secondo dal volume di Paul Zanker e Björn Christian Ewald "Vivere con i miti. L’iconografia dei sarcofagi romani" entrambi del 2004. Il capitolo introduttivo del secondo saggio in particolare traccia la storia della ricezione dei sarcofagi dal Medioevo ai nostri giorni nel Cimitero monumentale di Pisa. I sarcofagi hanno una continuità funzionale poco comune: contrariamente ad altri monumenti non caddero mai in disuso della loro funzione. Il caso del sarcofago con il mito di Fedra e Ippolito, esemplifica bene il prestigio che avevano queste casse decorate nella società medievale e ancora oggi leggibili nel Cimitero Monumentale di Pisa.

Guercino: Arcam Dei Tango Iesu

Aper (da cui Apro-niani, probabile fondatore di Ivry in Normandia) è il condottiero del "cinghiale bianco" (animale totem) al quale è legata anche la fondazione della città dei Pelasgi (Peleset) Alfei, ovvero Pisa.

I volti dei Pelasgi Alfei, popolo del mare che nel 1007 fondarono lo "Stato dei Mari" (erroneamente detta Repubblica Marinara), sono scolpiti ai quattro angoli di numerosi coperchi lapidari al cimitero monumentale di Pisa, rivolti sempre verso i quattro punti cardinali a testimoniare che il loro raggio di navigazione toccava i quattro angoli della terra. 

Sarcofago utilizzato a Pisa nel 1076
per seppellire la comitissa di Canossa, Beatrice di Lotaringia

I Pastori d'Arcadia sottolineavano che i loro volti presentavano "(..)caratteri forti, capelli lunghi come i nordici, occhi infuocati d'ardore con bocche che sembrano urlare animalescamente in una scena di battaglia: una potente forza spirituale di cui erano intrisi e che sfigurava i loro volti in "connessione" con la divinità".
Arieti stilizzati come tatuaggi, simboli mai visti da nessuna altra parte che si ripetono sulle fiancate di sarcofagi definiti erroneamente etrusco-romani e che i Pastori Alfei sostenevano fossero a Pisa probabilmente da sempre.

Sarcofago del giurista ed auguro pisano Minitius Natalis,
citato nelle lettere di Plinius il giovane (Plin.Ep.vii.12,).
Sarcofagi che vennero riutilizzati più volte in varie epoche dai cittadini pisani che venivano sepolti nel Sacro Recinto, come venne fatto del resto sin dai primi tempi per il "re del tridente" e la sua cerchia di uomini e donne disposti attorno a lui dentro cerchi più piccoli.

I Pastori d'Arcadia immaginavano che proprio i pisani arcaici e i sardi fossero due delle numerose etnie che formavano il mitico popolo del mare.
In un tempo in cui non c'erano limiti di colonne sul mare, i popoli di naviganti, detti pelasgi (peleset), furono i mitici eroi del vello d'oro. 
Decorazioni dei capitelli romanici delle facciate dei palazzi pisani,
analoghe con le sculture del Camposanto Monumentale
 e della chiesa di Santa Maria della Spina,
in cui si riconoscono ancora i motivi antropomorfi,
 ovvero rappresentati i 4 punti cardinali con figure umane stilizzate
Pelasgi Alfei avevano tre categorie sociali distinte: - gli sfingidi, forse rappresentanti del potere nobiliare sacerdotale, - gli opliti, difensori delle sacre pietre, - gli OMphalos o guerrieri dell'ariete, quelli del vello d'oro. 
Non avrebbero avuto scrittura e probabilmente usavano poco la lingua parlata, ma in compenso avevano una ricchissima simbologia che per loro era un vero e proprio linguaggio che serviva a comunicare. 

II pisani conoscevano bene questo linguaggio, anche intorno al mille, infatti la piazza del Duomo fu interamente dedicata all'ariete, alla costellazione che guidava i naviganti, impressa nella posizione dei tre elementi: Battistero, Cattedrale e Torre.
La piazza del Duomo è quindi una dedica alla costellazione dell'ariete e infatti la sua edificazione inizia con la fondazione della Cattedrale, dedicata a Maria, il 25 marzo 1063, giorno in cui il sole entra in ariete e inizia l'anno secondo l'antico calendario pisano.

Anche sulle sculture e nelle architetture che in Pisa ornavano tutte le finestre con bifore, trifore e quadrifore sono stilizzate ad ariete, simbolo che imprime forza, slancio ed energia vitale e per questo motivo veniva usato come sacro.
Sarà solamente un caso che osservando le facciate esterne di tutti i monumenti e palazzi del cosiddetto Romanico pisano si riconosce nei motivi architettonici decorativi il simbolo astrologico dell'Ariete? Il susseguirsi di archetti ciechi, di forma semicircolare, e di colonnine dritte interposte tra essi richiama, in effetti, il ben noto simbolo formato da uno stelo verticale sormontato dai due corni arcuati!
Il Romanico pisano si sviluppò dalla seconda metà dell'XI alla prima del XIII secolo, all'apice della potenza dello Stato dei Mari; era appena finito il papato del pisano Bernardo (Eugenio III), discendente dei normanni Pagano da Corsena (oggi Bagni di Lucca), ovvero di Alberto (Aubert de Cravent) e di Aubree de Bayeux (contessa d’Ivry), e San Bernardo stesso legittimava il disegno di Pisa e dell'Impero Alfeo esclamando: "adsumitur Pisa in locum Romae!" (si scelga Pisa al posto di Roma!). 
Questo progetto era chiaro ai Pastori Alfei (e a poche altre persone, sconosciuto ai più) tra la fine del cinquecento e l'inizio del novecento ed ancora allo storico tedesco Rudolf Borchardt nel suo saggio "Pisa, solitudine di un impero" (volume pubblicato postumo nel 1977): Pisa, "Novella Roma", era la nuova capitale dell'Impero. La sua posizione centrale nel Mediterraneo; la sua potenza navale con legni solidi e agili, capaci di spostarsi velocemente in ogni luogo dell'Impero; la sua grandezza (ricordiamo che le mura di Cocco Griffi, iniziate nel 1115, saranno, non a caso, le più estese del Medioevo); la sua inespugnabilità con le mura in solido verrucano che neppure i cannoni dell'esercito franco-fiorentino riuscirono a scalfire tre secoli dopo, e fiumi e paludi che rendevano difficoltoso qualsiasi tentativo di conquistare la città da terra; tutte queste caratteristiche spinsero i potenti di quel secolo e di quello successivo a scegliere Pisa come nuova capitale dell'Impero. 

Architetture del Romanico pisano con il simbolo dell'ariete

Piazza del Duomo e la costellazione dell'ariete secondo
lo studio di Massimo Adami "Pisa città dell'Ariete".
 Pelasgi è anche il nome degli Eber (Eburones), popolazione pre-greca il cui ricordo era ancora vivo in epoca classica. Omero cita i Pelasgi di Creta (Od. XIX 178). Anche Erodoto conosce i Pelasgi e li descrive come gente che parlava una lingua non greca e che viveva nella città di Crestone (vicino Salonicco). Pelasgos, secondo la "Periegesi della Grecia" di Pausania (110-180 dC), fu il primo uomo “(…) egli generò i Pelasgi, venne dall’Arcadia e insegnò come costruire capanne, come nutrirsi di ghiande e come cucire tuniche simili a quelle indossate dal popolo degli Eburones”. 



Le Danaidi
di 
John William Waterhouse,1902


Erodoto scrisse che le 50 figlie di Danao (Danaidi, protagoniste di mitologiche vicende da cui sarebbe derivata l'origine del popolo dei Danai, cioè i Greci) portarono i misteri di Demetra-Iside in Grecia, divulgandoli solo alle donne dei Pelasgi. Questi misteri furono conservati solo presso gli Arcadi della tribù degli Alfei. Il racconto di Erodoto, messo in scena anche da Eschilo nella trilogia delle Danaidi, è un fil rouge che collega gli Eburones agli Arcadi della tribù di Giacomo d'Alfeo ovvero forse alla consorteria sacerdotale dei Mi Beth El arrivata a Pisa dopo il 70 dC con Tito Flavio e successivamente conosciuta come i "Da Pisa" dal 1007, secondo la Jewish Enciclopedia (1906).

 York come Ivry deriva da "Eburiacum", luogo degli Eburones, detti talvolta Biturigi o Biturgi (in lingua latina Bituriges), ovvero il "popolo dei tassi" (Cesare, De bello gallico, VI, 16-28), che fu un'antica tribù celtica, abitante nelle fertilissime campagne al centro della Gallia. I Biturigi si definivano "i re del mondo": il termine era fatto derivare da bitu (o byth, byd), che significa "mondo", e dal plurale della parola rix, rigi, "re". Questo forse è il motivo per cui schiere di intellettuali (che si definivano Pastori Arcadi della Colonia Alfea) si siano avvicendati e affannati nella ricerca dei fili conduttori e degli indizi di una storia leggendaria tra la fine cinquecento e l'inizio del novecento.


Agostino Agostini Venerosi della Seta

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