E’ facile perdersi nell’incanto di un sogno, quando, immersi nel nebuloso mondo del nostro inconscio, viaggiamo nelle tenebrose, criptiche, misteriche, stanze della nostra anima.
In quell’eterea condizione ogni immagine viene ad assumere il valore di una verità.
Nel sogno si manifesta l’essenza più pura del nostra anima, posta oltre il velo di ogni abituale materialità sicché, come esseri di pura energia, ci troviamo al contempo ad essere noi e ciò che è altro da noi.
Quello del sogno è un viaggio nella dimensione spirituale, che sebbene diversa da ciò che consideriamo come vita reale, appare essa stessa fondamento di una realtà che ci appartiene, e quindi inevitabilmente reale.
In essa può vivere quell’intelletto intuitivo che tutto comprende, in una magica rivelazione del tutto.
Ci si trova smarriti nei ricordo del sogno, rientrando in quella vita che si considera come reale, consapevoli di una esperienza che conduce oltre il velo di ciò che la mente vive nelle sue quotidiane, abituali, automatiche circonvoluzioni del pensiero condizionato dalla materialità.
Ecco che allora, nel magico connubio tra cielo e terra, in un animo sensibile il sogno si trasmuta in poesia, sicché il pensiero diventa luminoso verbo, capace di creare nuove reali dimensioni.
Fernando Pessoa, il sommo poeta portoghese, ha fatto dei sui versi quel verbo, donando il profumo misterico al caotico divenire delle anime nel mondo, nella sua personale ricerca di una verità superiore, preclusa ai più.
Sognare, per il grande poeta portoghese, è il fluire delle percezioni più intime alle quali consegue il manifestarsi di immagini suscitate dal sogno: “seguo il corso dei miei sogni, facendo delle immagini gradini per altre immagini”
Quello di Pessoa è il canto di un’anima che vive nell’immensità del tutto, nella consapevolezza dim non essere nulla al cospetto dell’infinitezza dell’essere:
“Non sono niente, Non sarò mai niente, Non posso voler d’essere niente. A parte questo, ho in me tutti i sogni del mondo”.[2]
Questi versi sembrano richiamare l’antico motto dei Cavalieri Templari: “Non nobis Domine, non nobis,(…)”. Un motto sicuramente a lui caro, visto che si definisce Templare.
Un’appartenenza spirituale che inevitabilmente ha segnato il magico sentire del poeta, in quel desiderio di conoscenza misterica che lo ha condotto a percorrere gli ardui sentieri dell’occulto.
Quello di Pessoa è infatti un viaggio intimo nei meandri della coscienza, nel tentativo di svelarne il mistero sacro che in essa alberga:
“nel profondo di noi stessi noi restiamo ancora celati quando al nostro pensiero dell’essere nostro parliamo”.[3]
E’ un parlare di conoscenza, di una conoscenza che va oltre l’umana comprensione, oltre la comune ragione, toccando i misteri di percorsi che superano ogni razionale filosofia e ogni limitante religione, per svelare verità inaccessibili, che il poeta riteneva custodite proprio dall’antico Ordine del Tempio.
Come riportato nella nota introduttiva a questa raccolta di “scritti iniziatici”, curata dall’amico Douglas Swannie: l’unica iniziazione che il poeta mai ammise fu infatti quella dichiarata nella sua autobiografia: “iniziato, per comunicazione diretta da Maestro a Discepolo, nei tre gradi minori dell’Ordine Templare di Portogallo (apparentemente estinto)”.
Sicuramente in Pessoa vivevano comunque i fondamenti dell’essenza massonica, vivificata nei principio della fraterna tolleranza, tanto da individuare nell’ignoranza, nel fanatismo e nella tirannia i tre assassini dell’ultimo Gran Maestro dei Templari, Jaques de Molay. Tre assassini che ritroviamo simbolicamente rappresentati anche nei rituali massonici dove al posto di Jaques de Molay ad essere assassinato è il maestro Hiram, l’architetto incaricato da Salomone per la costruzione del Tempio di Gerusalemme, ucciso da tre compagni d’arte nel tentativo di carpire i suoi segreti[4]
“Ricordare sempre il martire Jacques de Molay, Gran Maestro dei Templari, e combattere, sempre e ovunque, i suoi tre assassini: Ignoranza, Fanatismo e Tirannia”, questa è infatti la raccomandazione di Pessoa per coloro che hanno in mente di accedere, attraverso una primaria preparazione essoterica, ai segreti iniziatici, che potranno svelarsi solo a coloro che esotericamente ne sapranno cogliere l’essenza.
Il riferimento al martirio di Jaques de Molay, al pari di quello del Maestro Hiram, diviene, in ambito esoterico, espressione della una morte e rinascita dell’iniziato, necessaria a realizzare l’uomo nuovo in grado di donare “bene e progresso” all’umanità. Un’immagine che sembra contenere i tratti simbolici della morte e resurrezione del Cristo, evocando altresì gli antichi misteri del mito egizio di Osiride, il dio riportato in vita dalla sua amata Iside per donare nuova luce al mondo attraverso il figlio Horus, immagine di Osiride risorto.
Una continuità iniziatica che sembra trai ispirazione anche dalla Bibbia, nell’idea di un sacerdozio eterno, rappresentato dal mito di Melchisedec, il cui nome significa il “Re Giusto” del regno di Salem[5],
Melchisedecc, venne iniziato per comunicazione diretta da Maestro a Discepolo, divenendo il Sacerdote eterno nell’Antico Tempio del Signore, con il potere di governare su qualsiasi altro re-sacerdote, come “Re del Mondo”, il Rex Deus.
Una trasmissione iniziatica che da Melchisedec giunse ad Abramo, poi a Davide e quindi a Cristo, con l’appellativo di “Maestri di Giustizia”.
Il concepimento di Melchisedec, al pari di quello di Gesù, ha per altro il sapore di una ierogamia “virginale”, essendo anch’egli concepito esclusivamente per volere del Signore per essere il re-sacerdote, figlio di Dio e custode della sapienza divina nel mondo.
Una catena iniziatica che la tradizione vuole sia giunta segretamente fino ai Templari, per poi disperdersi, a seguito della soppressione di questo Ordine, dando origine nel tempo ad altre organizzazioni iniziatiche, come i Rosa Croce e la Massoneria, prese come riferimento dallo stesso Pessoa negli “scritti esoterici”
La conoscenza iniziatica che ritroviamo in Pessoa sembrerebbe quindi far riferimento ad un misterioso Sacro Ordineiniziatico, forse legato ai Cavalieri di Cristo del Portogallo, che furono i diretti eredi dei Templari portoghesi.
I Cavalieri di Cristo hanno infatti la loro origine direttamente dai Templari portoghesi, dopo che questi vennero soppressi per eresia nel concilio di Vienne del 1312 dal Papa Clemente V, fortemente condizionato dalle pressioni di Filippo il Bello, Re di Francia.
L’Ordine Templare venne così eliminato in tutta la Cristianità in quanto eretico, ma ancor più per lo strapotere economico acquisito negli anni; ma in Portogallo e in Scozia[6] i Templari continuarono ad esistere.
Il Re Dionigi del Portogallo riuscì infatti ad ottenere dal debole pontefice di creare un nuovo ordine cavalleresco che potesse consentire allo spirito templare di sopravvivere in qualche modo, cambiando in sostanza solo il nome dell’Ordine, che da “Templari o poveri Cavalieri di Cristo” divenne “Ordine di Cristo.
Lo spirito templare aveva in sé l’anima di un’antica sapienza iniziatica, che portò, dopo pochi anni dalla fondazione dell’Ordine, avvenuta ad opera di Ugo de Pagani (Ugo de Payns in francese), ad avere il controllo economico sui Papi e sui Re d’Europa, in un arcano progetto di un dominio Teocratico del mondo, ispirato dal cistercense Bernardo di Chiaravalle, sostenitore dei Templari, avendo anche collaborato alla stesura e approvazione della loro Regola, avvenuta nel Concilio di Troyes del 1128.
In questo contesto, l’ipotesi probabile è quella che i Templari avrebbero avuto come obiettivo finale quello di realizzare uno stato, con capitale Gerusalemme, posto al disopra degli altri stati, per una reale riconciliazione dell’umanità con il divino, sulla base di una tradizione spirituale, che probabilmente traeva origine proprio nel mito biblico di Melchisedec, il Sacerdote-Re, primo Re del Mondo.
Il progetto Templare viveva infatti nell’ideale di un mondo unificato sui nuovi valori sociali e religiosi, improntato sulla tolleranza e sulla fratellanza universale, una sorta di nuova Arcadia,[7] ovvero di un mondo dove uomini e natura vivessero in perfetta armonia, in una concessione spirituale di tipo gnostico, probabilmente legata alle prime confraternite cristiane. Un modello sociale e religioso in parte già presente in alcune comunità, come quella dei Catari,[8] con i quali i Templari ebbero stretti rapporti, ma che si può ritrovare anche nell’antica comunità essena[9], ben raccontata nei manoscritti ritrovati il secolo scorso a Qumran, e forse in parte già noti ai Templari.
Fu forse proprio per questa loro affinità con i Catari che i Templari rifiutarono di partecipare alla crociata indetta contro loro dal Papa Innocenzo III, tra 1209 e il 1229, e che culminò nel massacro di Béziers[10].
D’altro canto il mito cataro si lega alla stessa leggenda del Graal raccontata nel Parzifal, il poema epico-cavalleresco del poeta Wolfram von Eschenbach, facendo ipotizzare una alleanza tra Templari e Catari. E’ per altro probabile che i Templari amministrassero i loro beni, finanche aiutarli ospitando nelle loro commende i catari in fuga al tempo della persecuzione da parte della Chiesa.
La crociata contro i Catari sancì però la fine di una sogno, determinando il progressivo declino della tradizione culturale e religiosa dell’Occitana, il Pays doc, quello dei poeti trovatori, cantori del mito cavalleresco e dell’amor cortese, nel quale il pacifico popolo cataro aveva prosperato, determinandone la grandezza spirituale e sociale. E con essi anche la speranza della nuova Arcadia cominciò a vacillare.
Ma cosa c’entra Pessoa con questa storia?
In primo luogo è infatti proprio lui a dichiararsi iniziato ai misteri templari nei tre gradi minori dell’Ordine del Portogallo, che definisce apparentemente estinto, a ciò si aggiunga l’adesione di Pessoa a quel movimento portoghese denominato Sebastianismo, che sfociò in un progetto di dominio del mondo chiamato “Quinto Impero”
In questo contesto, i suoi “scritti esoterici”, sapientemente riportati in questa pubblicazione curata da Douglas, sembrano donare i tratti del progetto templare per una nuova Arcadia.
Il “Quinto Impero” infatti non è altro che un sogno caro a Pessoa, alimentato dal mito sebastianista, che per secoli ha attraversato le menti dei portoghesi.
Quello sebastianista è un movimento al contempo “mistico e secolare” che trae origine dalla morte di Don Sebastiano, sovrano del Portogallo, deceduto nella battaglia al Alcazar-Quibir, del 1578, contro l’esercito del sultano ʿAbd al-Malik, e il cui corpo non fu più ritrovato. Poiché Sebastiano non aveva eredi, poco dopo la sua morte il suo regno passò nelle mani del Re di Spagna Filippo II, ma nei patrioti portoghesi restò sempre viva la speranza che il Re Sebastiano, detto il Re Addormentato come immagine simbolica di eroe nascosto, sarebbe tornato a stabilire la sovranità nazionale.
Così nacque il sogno di un Re occulto, una sorta di re-dio, al pari del biblico Melchisedec, che un giorno tornerà per essere il nuovo “Re del Mondo”, il Rex-deus di un nuovo impero.
Un sogno che nel tempo sfociò in altre immagini, veicolate dal pensiero di una rinascita del Portogallo come grande potenza imperiale, che portarono ad un vero progetto, quello del “Quinto Impero”, elaborato da un gesuita nel XVII secolo.
Il “Quinto Impero” sarebbe stato l’ultimo dei grandi imperi, successivo a quello Assiro, Persiano, Greco e Romano, in una aspettativa che traeva spunto dalle Sacre Scritture, come quella del profeta Daniele[11]
Quello di Pessoa è quindi un sogno messianico, al pari di quello dei profeti ebrei che attendevano l’arrivo del Messia per liberare i giudei dal giogo dei romani, o come nel caso di Mosè, Davide e Salomone che, attraverso una nuova alleanza con il Signore, divennero i Rex-Deus e quindi simbolo salvifico per neofiti e iniziati in cerca di libertà e grandezza.
Fernando Pessoa coltivò in sé quel mito, alimentandolo proprio con la sua esperienza iniziatica templare e con i suoi interessi per l’occulto, tanto da riempire i versi della sua poesia, come quella “in memoria del presidente-re Sidonio-Pais”[12] che ritrae il dittatore portoghese, assassinato da una anarchico nel 1918, come incarnazione del re scomparso.
Il sogno sebastianita di Pessoa emerge ancor più nella raccolta di poesie “Mensagem” del 1934, dove racconta l’orgoglioso passato del Portogallo, rivelando nella parte intitolata “O Encoberto” l’immagine della venuta del Messia,chiamato Encoberto (nascosto) per la salvezza dell’umanità e la conseguente realizzazione del “Quinto Impero”.
Il pensiero salvifico del poeta portoghese, come potremo scoprire attraverso i suoi “scritti esoterici” riportati in questa pubblicazione, non è pero configurabile esclusivamente nella costituzione di un “Quinto Impero” temporale, rappresentando piuttosto un vero percorso iniziatico dell’anima, a partire proprio dalla sua.
Pessoa, con i suoi “scritti esoterici”, ci conduce infatti a penetrare gli ardui sentieri della conoscenza iniziatica, attraverso una visione sincrética, fondata sullo gnosticismo, ma che attraversa diverse realtà esoteriche, dal catarismo, al rosacrocianesimo, alla massoneria. Un percorso che intravede diversi gradi iniziatici che possono condurre il neofita alla conoscenza superna.
Per Pessoa quel percorso di conoscenza comprende inevitabilmente il sogno messianico del “Quinto Impero”, che ha come presu pposto l’avvento di una Grande Iniziato, di quel “Re del Mondo”, sacro e occulto, capace di donare nuova luce all’Umanità, veicolando una nuova conoscenza e consapevolezza.
In questo contesto Pessoa sembra assumere le vesti del Profeta, al apri di quelli biblici, e la sua poesia diviene così strumento di rivelazione, che trae origine nel mondo nebuloso del sogno, ma ancor più dell’occulto, attraverso il misterico potere creatore del mito, che trasmuta il fluire del pensiero in verbo e il verbo in manifestazione.
In Pessoa il pensiero di un “Quinto Potere” temporale trasmuta quindi in una concezione essenzialmente spirituale che indica il divenire temporale come necessario percorso dell’anima.
E’ evidente che Pessoa intravede in quel “Quinto Impero” anche la grandezza della sua nazione, nel sogno di una sua rinascita, indicando se stesso come massimo ispiratore di questa apocalisse.
Dice infatti il poeta: “Tra non molto apparirà il poeta supremo della nostra razza e, se osiamo trarre la vera conclusione che ci si impone, il poeta supremo dell’Europa, il poeta di tutti i tempi. E la nostra grande razza partirà in cerca di un’india nuova, che non esiste nello spazio, su navi che sono costruite della materia dei sogni”
L’immagine dell’india nuova che non esiste nello spazio, sembra assumere l’immagine della Gerusalemme Celeste,espressione superna di quella terrena, come simbolo misterico di un nuovo ordine morale e sociale e sogno iniziatico del poeta portoghese.
Massimo Agostini
[1] F. Pessoa: “(…) Per quanto di noi si mostri continuiamo ignoti./ L’abisso tra le anime non può esser collegato da un miraggio della vista o da un volo del pensiero./ Nel profondo di noi stessi restiamo ancora celati quando al nostro pensiero dell’essere nostro parliamo./ Siamo i sogni di noi stessi, barlumi di anime, e l’un per l’altro resta il sogno dell’altrui sogno”
[2] F. Pessoa: incipit della poesia “Tabaccheria” dedicata al suo eteronimo Alvaro de Campos.
[3] Vedasi nota 1
[4] Secondo la leggenda massonica, Re Salomone decise di costruire, alle porte di Gerusalemme, il più grande e imponente Tempio da dedicare al suo Dio e alla fratellanza degli uomini.
Hiram Abif, indicato anche come figlio della Vedova, venne inviato a Salomone dal Re di Tiro, come maestro sovrintendente ai lavori.
Il maestro Hram divise le maestranze in tre classi: apprendisti, compagni e maestri, in base alla perizia e conoscenza dei segreti nella sacra arte delle costruzioni.
Per ogni classe stabilì una specifica parola segreta e di passo al fine di concedere una giusta paga alle maestranze in base alla diversa maestria posta nell’arte muratoria.
La paga dei lavoranti dipendeva infatti dalla qualifica, ma tre operai della classe dei compagni, bramosi di ottenere la paga dei maestri, senza esserne degni, si nascosero nel cantiere del Tempio, dove Hiram, durante la pausa di lavoro, soleva passeggiare e nel tentative di carpigli la parola segreta lo uccisero coni loro attrezzi di lavoro.
[5] Melchizedek o Malki-tzédek מַלְכִּי־צֶדֶק / מַלְכִּי־צָדֶק "Il mio Re è giusto", ebraico Standard Malki-ẓédeq / Malki-ẓádeq, ebraico tiberiense Malkî-ṣéḏeq / Malkî-ṣāḏeq), a volte scritto Malchizedek, Melchisedech, Melchisedek, Melchisedeq o Melkisedek, è una figura emblematica e misteriosa nell'Antico testamento, della Tanakh o Bibbia ebraica.
Nella Bibbia è identificato come re del regno di Salem (che si ritiene fosse l'antica Gerusalemme) e come Sacerdote dell'altissimo Dio; secondo l'esegesi ebraica si tratta di Shem, figlio di Noè.
Il sacerdozio di Melchisedec è uno dei più alti gradi del Sacerdozio tra i membri della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, altresì detti mormoni.
La storia del concepimento di Melchisedec, con tutto il suo mistero, è sapientemente raccontata nel Libro dei segreti di Enoc.
Su questo argomento si rimanda al mio libro “Et in Arcadia Ego. I miri dei Popoli del Mare” Tipheret Editore, Catania 2017.
[6] Secondo leggenda, nella battaglia attaglia di Bannockburn (1314) che segnò la vittoria degli scozzesi contro gli inglesi avvenne grazie all'intervento dei Cavalieri templari a fianco del loro re Robert Bruce.
Una leggenda che conduce al mistero della Cappella di Rosslyn dove si narra sia custodito il segreto Templare protetto dalla antica nobile famiglia dei Sinclair.
Laurence Gardner nel suo libro La linea di sangue del Santo Graal afferma a proposito dei Sinclair: «c’erano pochi normanni importanti nella Scozia medievale, ma una famiglia normanna che occupò una posizione di grande prestigio dall’XI secolo in poi fu quella di St. Clair. Henri de St. Clair aveva partecipato alla crociata con Goffredo di Buglione. Oltre due secoli dopo, nel 1314, il suo discendente e omonimo Henri de St. Clair fu uno dei comandanti dei cavalieri Templari alla battaglia di Bannockburn.
[7] Arcadia è il nome di una regione dell’antica Grecia, nel Peloponneso, considerate simbolicamente, come luogo di una serena vita idilliaca, dedita ai piaceri della natura. Secondo il mito l'Arcadia del Peloponneso era un possedimento di Pan, dio della foresta, co la sua corte di driadi, ninfe e spiriti della natura. Arcadia prende il nome da Arcade he il mito gereco lo presenta come figlio di Zeus e re dell’Arcadia che introdusse la coltivazione dei campi ed insegnò ai sudditi a fare il pane, a filare ed a cucire i vestiti. Dopo di lui la terra precedentemente chiamata Pelasgia fu chiamata Arcadia ed il suo popolo gli Arcadi.
[8] Il nome Catari deriva dal latino medievale catharus, «puro» con il quale comunemente sono indicati gli eretici gnostici dualisti medievali diffusi soprattutto nella Francia meridionale e nell’Italia centro-settentrionale nel XII-XIII secolo. In contrasto con la Chiesa, predicavano un rinnovamento morale fondato sull’antitesi tra bene e male, spirito e materia ed erano organizzati in una vera e propria gerarchia iniziatica.
[9] Vedasi I manoscritti di Qumran, a cura di: L. Moraldi, UTET, 2013, in particolare I testi normativi (regola della comunità, regola dell’assemblea, regola della Guerra …) r
[10] «La città di Béziers fu presa e, poiché i nostri non guardarono a dignità, né a sesso, né a età, quasi ventimila uomini morirono di spada. Fatta così una grandissima strage di uomini, la città fu saccheggiata e bruciata: in questo modo la colpì il mirabile castigo divino» (Arnaud Amaury, Patrologia Latina, volume CCXVI, 139C)
Leggendaria è la risposta che in quell'occasione Arnaldo di Citeaux, legato pontificio, avrebbe rivolto a un soldato che gli chiedeva come poter distinguere nell'azione gli eretici dagli altri: "uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi".
[11] Rivelazione e spiegazione del sogno di Nabucodonosor da parte di Daniele: “… Al tempo di questi re, il Dio del cielo farà sorgere un regno che non sarà mai distrutto e non sarà trasmesso ad altro popolo: stritolerà e annienterà tutti gli altri regni, mentre esso durerà per sempre”.
[12] Sidónio Pais, (1872-1918), è stato il quarto Presidente della Repubblica dal 1917 al 1918. Fu il fondatore del Sidonismo, noto anche come Dezembrismo.